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La bomba emotiva dell’arrampicare

Non so se è così per tutti. Forse no. Davvero, non lo so. Lo è per me, eccome.
Arrampicare genera emozioni gigantesche e su di me ha innescato processi di cambiamento che, prima di cominciare, non avrei mai immaginato.
Ma andiamo per gradi e partiamo dalle basi, banali se volete, ma non per questo meno vere.
Arrampicare è un’attività difficile ed estrema. Questi due aggettivi la rendono feconda di un sacco di cose, soprattutto di conseguenze.
È difficile da imparare. Molto difficile. E ti porta a imboccare una strada lunga, piena di ostacoli, di cadute, di sfiducie, di crolli della stima e dell’autocontrollo. Questo, sia chiaro, solo quando le cose non vanno bene. Negli altri momenti ti esalta, ti riempie di contentezza, ti fa urlare, gemere e ridere da star male.
È estrema e ingigantisce tutto quello che provi. Da questo non scappa nessuno. Va a incunearsi proprio lì, dove c’è il torsolo di quello che sei e tutto ciò che trova lo amplifica come in una sala da concerti. Stimola paure e insicurezze che ti dormivano dentro e magari nemmeno sapevi di avere.
Non parlo del timore di cadere e farsi male… questa sì che è banale; parlo di cosa ti lascia dentro questa paura quando scopri di averla e ti paralizza o, peggio, ti fa mollare. Quando chiedi a chi ti fa sicura di scendere perché non ce la fai e sei così in collera e deluso da te stesso da rispondere male a chiunque provi a farti cambiare idea.
Si tratta di un attimo. È solo un click. Nient’altro. Parte piano piano ma ti cresce dentro per giorni e giorni anche dopo che hai finito di arrampicare.

È solo un click, ma basta a svegliare il mostro che dormiva nelle cavità più nere e profonde del tuo cervello.

E il mostro,
nel buio,
SUSSURRA:
“Gli altri non hanno la paura che hai tu. Gli altri stanno bene e ce la fanno, non vedi? Non vali nulla. Ti muovi come un rinoceronte e nelle foto fai pure cagare. Hai il culo enorme quando sei appeso all’imbrago, il casco sempre storto e ti caghi sotto al primo strapiombo. Sei troppo alto, sei troppo piccolo. Tutti hanno capito come muovere ‘sti piedi tranne te. Ti alleni, ti applichi da un sacco ma ancora non tieni con le mani. Ti sembra normale? Piantale, lascia perdere e vatteneaffanculo…”.
Però, a dirla proprio tutta, non è questo il compito di ciò che è estremo? Sbatterti di fronte ad un muro e scoprire che mostri nasconde. Ognuno ha i suoi, credo. E se non ne hai il mostro potresti essere tu.

Cosa nasce nelle crepe


Ed è qui che arriva la meraviglia dell’arrampicare. Perché anche se hai fatto finta di nulla, evitando in tutti i modi di guardare cosa c’era lì sotto, ciò non rendeva le tue paure meno reali. Al contrario, c’erano comunque e più fingevi di non vederle, più loro crescevano e influenzavano nascoste i tuoi comportamenti. Poi arriva il click e cominciano i bisbigli. E più bisbigliano, più le vedi. Ecco cosa fa l’arrampicata: accende le luci dove prima c’era il buio. All’inizio fa male e le emozioni esplodono incontrollate. All’inizio vorresti spegnere la luce e tornare a non guardarle perché non sei sicuro che quello che vedi di te ti piaccia. Mollare tutto e non farti più vedere, questo pensi.
Ma potrebbe anche andare in un altro modo. Se decidi che a ‘sto giro gli occhi non li vuoi chiudere, allora puoi cominciare una scalata tutta nuova.


Ora un po’ sali, un po’ ti appendi, un po’ molli, un po’ ti fai calare e perdi qualche metro e un po’ ritorni per riprovarci, ritorni continuamente, ritorni sempre. Via via che sali e guadagni spit conosci nuove parti di te, trovi nuovi muri, nuovi bui e nuove luci. Ma la cosa bella è che puoi decidere di provare a cambiare ciò che non ti piace, perché ora, finalmente, lo vedi. Così come puoi decidere che va bene così. Che magari non sei proprio ciò che credevi di essere ma, porca miseria, va bene lo stesso!
Ripeto, non so se è così per tutti. Forse no. Lo è per il me di questa fase. Per me l’arrampicata è un’attività dannatamente difficile, lunga e logorante da imparare ed è così estrema da portarmi a contatto con le mie più profonde crepe. Ma grazie a tutte queste cose ho avuto la possibilità di iniziare un processo di miglioramento di me che trovo elettrizzante (non vi avevo avvisato che ci sarebbe stata della banalità? 😊).
Ecco però, perché un però c’è: per come la vivo io, da solo non ce la si può fare. Tutto questo accade solo se sei circondato da persone a cui vuoi bene. Non basta l’affinità, non basta la simpatia o, peggio di tutto, l’utilità reciproca, non è sufficiente avere gli stessi interessi o altro.
Deve scattare l’amicizia… quella vera… quella che fa sì che due o più persone si vogliano bene.
Perché quando i mostri sussurrano e le crepe si aprono, sono più facili da affrontare se sei assieme a chi ti sostiene e a cui non frega nulla se hai paura, se scali duro o sei una pippa, se provi o se scendi, se impari veloce o hai bisogno di più tempo o se vieni bene in foto. Alla fine dei conti l’arrampicata è difficile, estrema, l’arrampicata è bellissima, ma da sola resta solo uno sport come tanti altri, una conquista del grado, che ti gonfia senza migliorarti.

Ciò che migliora