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Un insolito finale

Nel lontano aprile del 1992 ebbi l’occasione di fare, ahimè con un gruppo non FALC, una favolosa settimana di sci alpinismo in Norvegia.

Mettemmo base a Tromso (69°,35’ N), importante città (circa 70.000 abitanti), fatta di tante casette al massimo due piani, colorate di rosso, blu, nero, bianco, con tetti spioventi grigi e rossi (sembrava quasi fatta di lego), posta oltre il circolo polare artico su una isola di uno dei tanti fiordi che merlettano questa parte della Norvegia, e dove ci aspettava un pulmino a noleggio con cui abbiamo raggiunto un villaggio turistico fatto di bungalow di legno, molto confortevoli.

Arrivammo da Milano, via Oslo, Il 18 aprile attorno alle 16 e sia confortati dalla presenza di luce solare garantita sino alla 10 di sera e oltre, sia da una temperatura fissa attorno allo zero nonostante la giornata soleggiata, abbiamo subito messo gli sci salendo il Buren   (802 m) un grande e dolce panettone posto a pochi chilometri a ovest di Tromso sul Kaldfjorden e da cui si gode una vista meravigliosa sui fiordi e sulla città.

L’innevamento perfetto da bordo mare alla cima e l’ora pomeridiana dai caldi colori ci diedero subito la conferma che sarebbe stata una settimana gloriosa.

E lo fu, ogni giorno dopo ampia e rilassata colazione via con il pulmino per raggiungere le diverse località da cui partire, sempre con il mare ai nostri piedi, per la programmata ascensione.

Ai norvegesi piace avere case dipinte di rosso sparse lungo i fiordi e distanti tra loro.

Parcheggiammo una mattina vicino a una di queste e incominciammo i preparativi: scarponi, pelli, rampant, chiacchere, piccozze,  ecc. quando dalla casa ci raggiunse un signore che, osservatici a lungo, ci chiese da dove venivamo e dove volevamo salire.

Al Durmalstinden rispondemmo, indicando i 1200 m  di  ripida montagna che ci sovrastava. “Con gli sci? Bravi se ci riuscite, ma attenzione, a circa metà c’è un tratto molto ripido e sempre gelato che noi non siamo mai riusciti a superare” ci disse indicando sci da fondo appoggiati al muro della casa. Lo ringraziammo e attratta la sua attenzione sui rampant scoprimmo che non li conosceva, era il 1992!

Chiusi convenevoli e spiegazioni partimmo e durante la salita, piuttosto dura, la casa rimase sempre in vista e in particolare vedevamo quel tizio che con un cannocchiale seguiva il nostro lento procedere. Lo dimenticammo. Riuscimmo con un lungo diagonale, mordendo bene la neve tendente al verde, a superare la ripida gobba  senza calzare i ramponi, come lo stesso aveva suggerito.

Da lì in poi si aprì un vasto paesaggio, assolutamente da alta montagna, che ci godemmo in tutta la sua bellezza e difficoltà.

Circa nel primo pomeriggio dopo una esaltante sciata su neve dura e levigata ritornammo alla macchina e il nostro “amico” era già lì ad attenderci.

Fragorosi complimenti, pacche sulle spalle, foto di gruppo con in primo piano i rampant, allegria a go go e nel frattempo altre persone conversero sorridenti  e curiose verso il nostro gruppo.

Notammo che alcune signore avevano in mano un pacco di forma sospetta e infatti, tra nuove strette di mano, complimenti e sorrisi, finimmo tutti in casa del nostro “amico” dove gli abitanti di quel lato del fiordo, dallo stesso allertati, ci avevano preparato una merenda a base di torte dolcissime alla panna e frutta, noi scaricammo una cassa di birra e si festeggiò allegramente sino a sera.

Era la prima volta che degli sciatori alpinisti salivano quel versante del Durmalstinden! Almeno così dissero e noi fummo molto contenti di far finta di crederci e di goderci così calda e insolita accoglienza, così come loro si godettero il diversivo degli scialpinisti italiani dopo il buio e lungo inverno.

A me venne nostalgia delle nostre tortate Di fine corso!